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Per Berlusconi scoppia la grana referendum La Lega: "Il governo lo bocci o andiamo via"

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2009-01-21

Il retroscena. Fini: ora sono garante, la linea la decideranno i dirigenti del partito unico

I quesiti furono sostenuti da An. Se approvati, "soffocherebbero" il partito di Bossi

Per Berlusconi scoppia la grana referendum

La Lega: "Il governo lo bocci o andiamo via"

di CLAUDIO TITO

Per Berlusconi scoppia la grana referendum La Lega: "Il governo lo bocci o andiamo via"

La raccolta delle firme per il referendum

ROMA - Una bomba piazzata sotto la coalizione di governo. Ancora innescata e pronta a esplodere in primavera. Ad agitare i sonni di Silvio Berlusconi non c'è solo la riforma della giustizia e il federalismo. La tensione con la Lega negli ultimi giorni si è impennata anche per un altro motivo: il referendum elettorale. Il Carroccio ha già cominciato ad alzare le barricate e a chiedere la solidarietà dei partner di maggioranza. "Se qualcuno dei nostri alleati volesse sostenere quei quesiti - avverte il ministro lumbard Roberto Calderoli - allora sappia che qualcuno nella maggioranza potrebbe anche votare contro il governo".

E già, perché i tre referendum ammessi un anno fa dalla corte costituzionale, se approvati, porterebbero ad un sistema con due soli "listoni". Bipartitismo in piena regola e la "morte" per il Carroccio. Un pericolo che fa inviperire Bossi. Lo ha già spiegato esplicitamente al Cavaliere: il Pdl dovrà schierarsi contro il raggiungimento del quorum. Un discorso rivolto in primo luogo ad Alleanza nazionale. Che le firme le ha raccolte e fino pochi mesi fa si dichiarava a favore dell'operazione referendaria. "Chi sostenesse il referendum - è il monito di Calderoli - sarebbe un pazzo. Perché dovremmo accettare un sistema che forza tutti ad entrare in due soli listoni? Significa violentare la natura dei partiti e piegare la loro autonomia". Il "colonnello" della Lega, padre della attuale legge elettorale, mette sul piatto della bilancia persino la tenuta della maggioranza. E poi fa notare: "Berlusconi ha già difficoltà a fare il Pdl, figuriamoci se ci obbliga a entrare in un unico cartello elettorale".

Non è un caso che il ministro degli Interni, Roberto Maroni, abbia preparato un dossier sull'argomento. In cui si prevede la celebrazione del referendum nell'ultima data utile, il 14 giugno.

Ma per i leghisti il nodo non è la tempistica. È la linea politica del Pdl. A Via della Scrofa, ad esempio, prendono tempo. Gianfranco Fini non si sbilancia. Una linea che fa innervosire ancora di più gli uomini del Senatur. "Io l'ho firmato, è vero - spiega il presidente della Camera - e Alleanza nazionale ha appoggiato l'iniziativa. Su questo non c'è dubbio". In effetti a gennaio scorso fu molto netto: "Dalle urne può uscire una buona legge". Da allora, certo, di acqua sotto i ponti ne è passata. "Ora - rimarca l'inquilino di Montecitorio senza escludere alcuna soluzione - toccherà al Pdl decidere quale posizione assumere. Si riuniranno gli organismi dirigenti e decideranno. Io, in qualità di presidente della Camera, devo tenere per me la mia idea". Il capo della destra italiana ricorda pure che Forza Italia "lasciò libertà di coscienza: non so cosa farà il Pdl. Magari farà la stessa cosa, ma io non lo so".

Per scongiurare un vero e proprio tsunami, Berlusconi sta provando a tranquillizzare Bossi: "Non c'è bisogno di modificare la legge. L'attuale ha funzionato benissimo. Non ci saranno problemi". Ma ha capito che questo è l'unico fattore che può davvero far perdere la testa al Senatur. Una considerazione che, al contrario, sta facendo premio nel centrosinistra. Il Pd inizia a valutare le opzioni. Sapendo che la vittoria dei sì provocherebbe un terremoto nel centrodestra. "Eppoi - chiarisce il vicesegretario Dario Franceschini - se non si fa la riforma elettorale, per noi sarà difficile non sostenerlo. Significherebbe accettare il "porcellum"". Senza contare che Di Pietro - tra i promotori referendari - è già pronto a dare battaglia.

Sta di fatto che la consultazione si terrà entro il 14 giugno. Il governo potrà riunirsi per fissare la data solo dopo il 15 aprile. Dopo di che dovranno passare almeno 45 giorni di campagna elettorale. Risultato? Tre le date possibili: il 31 maggio, il 7 giugno e il 14 giugno. Nella prima ipotesi c'è una controindicazione: le scuole sono ancora aperte. La seconda è quella vista con terrore dal Carroccio: quel giorno si svolgeranno pure le europee e le amministrative, il quorum diventerebbe un obiettivo agevole. Per la Lega, resta solo l'ultima domenica. La peggiore, per i referendari: "si manderebbero gli italiani alle urne per tre week end di seguito - osserva Giovanni Guzzetta -. Per le europee, per i referendum e poi per i ballottaggi del 21. Una cosa insensata. Se si facesse un election day il 7 si risparmierebbero almeno 600 milioni". Ma se si voterà il 14 giugno, i referendari punteranno sull'effetto europee. Ossia sul probabile sconcerto degli elettori di fronte ad una scheda elettorale-lenzuolo che probabilmente sarà composta da una trentina di simboli.

(21 gennaio 2009)

 

 

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